Teatro n.1
Mani Tese ed il Cinema Lux furono
gli elementi che, combinati insieme, diedero origine alla nostra storia, oltre
alla cinepresa fantastica di Ivano.
In qualità di gruppo Mani Tese pensammo di organizzare una serata di beneficenza, proponendo una compagnia teatrale.
In qualità di gruppo di gestione del cinema Lux approvammo la proposta all'unanimità.
E, visto che con l’invenzione di Ivano erano nate delle improvvisazioni, proponemmo alla compagnia ospite di poterci esibire in una breve serie di gag.
Un mese prima dello spettacolo ci abbandonarono, lasciandoci in balia di noi stessi.
La reazione fu immediata: «faremo da soli» Ivano dixit.
Così ci trovammo ogni sera al Lux. Vivevamo là.
Ci spartimmo i ruoli, una parte c’era per tutti e ciascuno aveva un compito, per piccolo fosse.
Le scelte non erano semplici e a volte discutevamo animatamente, tutti
d’accordo invece quando Mozz ed Elio provarono ad esibirsi. Tutti insieme, loro
compresi, decidemmo che sarebbero stati degli ottimi assistenti di scena,
dietro le quinte, molto dietro.
Eravamo una trentina, dai
quattordici ai diciannove anni, e agivamo in completa anarchia. Mentre qualcuno,
Capo e Ivano, improvvisava, gli altri facevano di tutto. In quella confusione
bisognava prestare particolare attenzione a Carletto e alla sua mania di
mettere il gioiello ovunque e in ogni momento.
Carletto ed un suo amico una sera andarono ad una festa. Due ragazze
alla cassa chiesero i soldi per entrare, Carletto spostò l’amico, si avvicinò
al bancone, tirò giù la cerniera e disse «basta?»
Bastò per entrambi.
Era pericoloso averlo a fianco, specie se raffreddati. A mettere le
mani in tasca per prendere il fazzoletto, si rischiava la sorpresa. Per non
parlare poi dei boccali di birra, che dovevano sempre stare a portata d’occhio.
Per fortuna una sera arrivò in bici e da allora continuò a pedalare dentro il
teatro durante le prove.
Nel branco c’erano anche le ragazze, ma erano ancora giovani, bisognava
aspettare che crescessero, dovevamo accudirle. Il compito fu affidato al più
serio, l’unico del gruppo nato maggiorenne: Bano, l’addetto al vivaio.
Gli riuscì bene, visto che una di queste pianticelle amorevolmente cresciute
divenne sua moglie, come capitò anche a Lucio.
Lucio che odia i traslochi da quando dovette buttare la serie completa
degli originali di Hulk della Marvell. Da non dormirci la notte.
Parlava tutte le lingue del mondo, diventava chiunque: un mimo
francese, un capostazione spagnolo, un karateca nipponico, un barbiere folle,
altro che Uno, nessuno e centomila, poteva
essere l’umanità intera.
Poi c’ero io, il terzo intellettuale, dopo Ivano e Bigi.
Se Loris era Gastone, io ero Paperino. Non ero semplicemente
sfortunato, no, la mia sfortuna era una sicurezza, una garanzia: arrivava
sempre, in ritardo a volte, ma arrivava. Tenacemente sopportavo questa peculiarità
e sopportavo anche l’altra peculiarità: la chirurgia.
Fui operato numerose volte, alle orecchie, agli occhi, al naso, alle
gambe, ormai era una consuetudine. Nessuno più mi chiedeva come stavo, e questa
mancata domanda si poteva considerare una forma di cortesia.
Ogni gruppo di amici, si sa, ha
una colonna sonora che lo contraddistingue, una musica che lo accomuna. Ciano,
il romantico, era la nostra colonna sonora. Scopriva musiche incredibili, da
Pat Metheny, quando ancora lui stesso non sapeva che da quell’American Garage sarebbe partito verso
una carriera splendente, fino al James Taylor Quartet, perdonandoli per la
colonna sonora di Starsky & Hutch.
Ciano frugava nelle musiche degli anni ‘50 e scopriva Harry Belafonte
con Matilda, noi con Allegria dei re gitani Gipsy Kings
scuotevamo i fianchi, per poi saltare come caprioli in Everybody Needs Somebody dei Blues Brothers.
Ciano ci serviva la colazione con i Supertramp e Breakfast In America, ci costringeva a cantare con Aquarius del film Hair, ci faceva volare alto con gli Eagles nel loro Hotel California e alla fine, stanchi,
ci salutavamo con The End dei Doors.
Per citarne solo alcuni.
Alle feste Ciano rimaneva ore con i suoi dischi in vinile e i due
piatti.
Come detto, le ragazze erano presenti, anche se non sempre partecipi alle
attività più folcloristiche.
Kate, un alto cespuglio, magra, leggermente distratta, inseparabile
amica di Fede.
Fede, un piccolo cerbiatto con quattro grandi occhi, due per sorridere
e due per farti abbassare lo sguardo. Attorno a queste stelle c’era un piccolo
firmamento: Capa senza Seba, Anna, Lucia, Antonella, seguivano il gruppo come i
pesci pilota lo squalo. Uno squalo buono che non ha mai ferito e morso nessuno.
Alla fine, stremati dalle prove, riuscimmo ad arrivare ad una proposta
di circa 90 minuti, composta da scene in parte inventate, in parte lette su
certi giornalini dell’Azione Cattolica, ed in parte affidate al caso.
La risorsa maggiore fu la parodia. Venne applicata anche al libro
Cuore di De Amicis, da cui estraemmo alcuni racconti basati sul personaggio di
Ferruccio. Contavamo molto su Ivano e su Capo.
Venne disegnato il primo orrendo manifesto: Mani Tese presenta HOMO RIDENS
spettacolo di beneficenza, 22 dicembre 1984.
Impiegammo molto tempo per definire la scenografia, la quale doveva
essere modulabile, leggera, economica, e soprattutto ignifuga.
Alla fine la proposta di Gnagno convinse tutti, anche i pazzi
responsabili del Lux: delle belle colonne in polistirolo appoggiate sul palco
ad incastro in modo da costruire una parete mobile. Sul fatto che non fosse una
scenografia propriamente ignifuga si sorvolò.
La sera prima dello spettacolo un gruppo scelto si offrì di dormire per
sorvegliare gli impianti.
Avevamo disposto i fari e anche l’amplificazione: i fari ce li aveva prestati
Checco, per amplificare le voci sul palco tendemmo un filo in mezzo alla scena
e su quel filo vennero appesi come salami tre microfoni.
Quella notte dormimmo poco, anche perché passammo parecchio tempo a
cercare di sintonizzare un televisore portatile in modo da vedere qualcosa di
erotico, ci saremmo accontentati anche di una tetta. Ognuno era dentro al proprio
bozzolo di coperte o al sacco a pelo, la maggior parte di noi era vestita.
Bano
invece, il più raffinato, sfoggiò il suo pigiamino indossato nudo. Dormiva senza
mutante, una volta tolte le aveva appese all’antenna tv. Non le ritrovò più.
Si chiacchierò molto quella
notte, come fanno tutti i sognatori prima di addormentarsi.
Arrivò il giorno dopo e superammo quasi indenni la mattina di prove;
tranne che per un equivoco tra Raffaele e Bigio, equivoco sorto su come si
dovesse muovere l’occhio di bue per simulare la luna piena che però era calante.
Raffaele chiarì il concetto afferrando uno dei microfoni-salame e
spiegando a pieni polmoni e con dovizia di particolari a Bigio cosa fare, e non
solo con l’occhio, ma anche con le altre parti del povero bue.
Nel pomeriggio la tensione crebbe
fino ad arrivare alla frenesia. Il cinema teatro di allora conteneva 720 posti
distribuiti tra platea e galleria, all'apertura delle tre porte di accesso il
Lux fu investito da una marea umana. Alcuni fortunati trovarono posto a sedere,
tutti gli altri si arrangiarono in qualche modo.
E finalmente iniziammo.
Il sipario si aprì al suono di "Freeze Frame Lyrics by J. Geils Band" e su Carletto che, in bretelle gialle, ci presentò.
Ma fu Ivano a condurre all'assurdo la serata.
La cinepresa fantastica era diventata reale.
Fayo, in veste di operatore, con camice bianco e cinepresa di cartone,
apparve a sinistra, sopra il palco. Ivano entrò, da destra, simulando un tiro alla fune con
un microfono immaginario e iniziò a presentare il suo talk show, subito
interrotto da Gnagno, il quale, nascosto tra il pubblico, saltò in piedi.
«Ma cosa fate, state qui a
sentire quel che dice questo? Ma siete tutti massificati, state lì seduti ad
ascoltare quello che dice questo presentatore, non vedete che è tutto finto?»
Il pubblico era sorpreso, intanto Ivano chiamò la valletta, che entrò
portando una scacciacani su di un vassoio, Ivano la prese, mirò a Gnagno e
sparò. Gnagno cadde. Da una porta laterale entrarono Marco e Mozz spingendo una
lettiga con un lampeggiante giallo alimentato da una batteria da macchina.
Caricarono Gnagno e lo portarono via. Fayo, continuando a riprendere,
sollevò un cartello con scritto “APPLAUSI”.
E la gente applaudì.
Il pubblico entrò così nel nostro mondo assurdo, vittima della nostra
irriverente fantasia.
La serata proseguì con gli ospiti dello strampalato talk show, arrivò
un improbabile Cocciante imitato da Carletto, un bucolico contadino con tanto
di forca interpretato da Capo.
A me e a Loris venne chiesto di interpretare un ruolo imbarazzante: entrare
tra il pubblico imitando due travestiti. Ci truccò un’amica estetista, e lo
fece bene, tanto bene da farci guardare con sospetto per lungo tempo.
In quell’occasione capii perché le donne si depilano le gambe: lo
scoprii togliendomi le calze a rete nere.
Poi le farse: La piccola vedetta lombarda tratta da
Cuore, in cui Ferruccio, interpretato da uno scatenato Ivano, scosse la sala.
Soprattutto con il suo ingresso in biciclettina in mezzo alla gente. Il monello
perfetto. Le battute più significative quando Ferruccio mordeva la coscia del
narratore, facendolo gridare di dolore:
«ma cosa gridi?»
«mi fa male la coscia!»
«ma coscia vuoi che sia»
L’orrendo gioco di parole, non si sa perché, divertiva.
Poi il narratore affranto fingeva di sputare pronunciando una parola,
Ferruccio con stupore si puliva la testa bagnata e guardando la mano diceva «Saliva???»
per ottenere come risposta «No, scendeva!!!»
Battute terrificanti, eppure riuscite.
In ogni scena si tentava di
fornire una morale, alcune volte un po’ azzardata come nel caso della parodia
di Cappuccetto Rosso, ovvero Cappuccetto Rozzo.
La fiaba iniziava con il narratore il quale, da sopra una scala a
libro, tentava di raccontare la vera storia di Cappuccetto facendola
interpretare dagli attori, i quali però non erano quelli voluti, ma i
possibili. La timida e graziosa fanciulla di nome Cappuccetto Rosso venne
annunciata dalla musica Gonna Fly Now
di Rocky Balboa. E nello stesso modo in cui Stallone sale le gradinate entrò Fayo,
90 chili, parrucca di riccioli biondi, gonnellino e mantellina rossa.
Viste le sue dimensioni, il narratore si trovò costretto a raccontare
la fiaba di Cappuccetto Rozzo. Ma a quel punto il lupo non avrebbe più avuto senso,
sarebbe fuggito di fronte a Cappuccetto.
Quindi, attrezzato Loris con un cappello a forma conica, si ottenne un
missile al quale affidare il compito di sopprimere Cappuccetto.
Un momento particolarmente comico quando Cappuccetto Rozzo incontrò la
nonna, cioè Ivano:
«Nonna, ma che occhi grandi hai»
«La vecchiaia Cappuccetto, la vecchiaia»
«Nonna, ma che orecchie grandi hai»
«La vecchiaia Cappuccetto, la vecchiaia»
«Nonna, ma che pelo lungo hai»
«Ciò Cappuccetto, sei venuto a trovarti o a rompermi i marroni???»
Per questa battuta discutemmo un po', i puristi volevano utilizzare "rompere i coglioni", ma i più moderati, considerando il bigottismo imperante, suggerirono la soluzione vegetale. Infine dunque si disse "maroni".
Un momento di incertezza lo raggiungemmo nel finale quando la nonna e
Cappuccetto Rozzo stesero il lupo-missile.
Entrambi aprirono il vestito esibendo il simbolo del pacifismo e gridando
insieme «contro la Nato e il Patto di Varsavia».
Nessuno di noi ha mai capito perché, né noi né il pubblico, che
comunque applaudì.
Nel finale proponemmo un balletto classico in tutù.
Sulle musiche de La morte del
cigno di Ciaikovskij un drappello di ragazze cercava disperatamente di
imitare delle vere ballerine.
Nel corpo di ballo in tutù, calzamaglia e corpetto rosa, nella sua
imponente statura, figurava Loris.
Per trasformarsi in ballerina due noci a simulare il seno: Olivia, la
fidanzata di Braccio di Ferro, sarebbe stata più fascinosa.
Quanti del gruppo non si esibivano decisero, per scherzo, di lanciare le
scarpe alla fine del balletto. Purtroppo il pubblico li imitò, tirando di tutto
sul palco.
Finì così, Carmen Consoli direbbe Confusi
e felici, ma in realtà eravamo solo contusi e felici.
Mani Tese di Bassano del Grappa ci chiese di fare lo spettacolo anche
da loro.
Qualcuno suggerì di usare uomini sandwich per la pubblicità sul famoso
ponte. Il percorso era semplice, da un lato all’altro del ponte. I due prescelti
furono Bigi e Scalz.
Eseguirono alla lettera gli ordini, partendo da destra, Grapperia
Nardini, verso sinistra, Grapperia Bassanina.
A fine spettacolo andammo a recuperarli: con i tabelloni avevano formato
una rudimentale canadese e ci dormivano dentro, qualche passante aveva messo
degli spiccioli nel berretto di uno di loro.
Si ripresero con calma, scusandosi se a causa del freddo avevano preso
sonno.
Poi il Lux, con nostro stupore e amarezza, venne chiuso.
Troppo tardi però, perché gli Homo Ridens ormai erano già usciti allo
scoperto.
Arrivò l’estate e ritornò la
voglia di girare.